Pubblicato il 08/03/2020 su facebook: vai al post per ulteriori commenti
Consulenti, Gestori ed investitori devono guardare nella stessa direzione?
Leggo spesso che il Consulente Finanziario DOVREBBE proporre gli investimenti secondo la propensione al rischio dell'investitore.
Ho aspettato giorni come questi per scrivere un post ed affermare che quanto scritto persino dalla legge non è funzionale a comportamenti performanti.
Il Cliente Investitore, per definizione, vorrebbe "investire senza rischiare nulla" (dove "rischio" sappiamo essere l'oscillazione caratteristica dei mercati). Sbaglio? Il compito del Consulente è invece proprio fargli comprendere che non è possibile ottenere rendimento adeguato senza oscillazioni (senza rischio)... non "comprare" i suoi bias! Costruire portafogli "come vorrebbe" il Cliente è una stupidaggine che non farebbe mai raggiungere gli obiettivi dichiarati in trattativa (rendimenti attesi coerentemente elevati per ottenere in orizzonti statisticamente plausibili gli obiettivi finanziari di vita declinati). Occorre quindi educare l'investitore alla tolleranza ai rischi, non accettare la "sua" di tolleranza.
E allora cosa si fa? Cari legislatori? Indovinate... è normale nel questionario di profilatura spiegare ed incitare il Cliente a definire di aumentare di qualche punto il VaR massimo raggiungibile (95 o 99%) o il Downside Risk tollerato a mare calmo per poter "manovrare" col mare a forza 6/7 o peggio...
Fra l'altro compilando "correttamente" ciò che per legge è obbligatorio quando i mercati rischiosi aumentassero la volatilità (tradotto i mercati azionari scendessero) il consulente sarebbe costretto a far VENDERE asset rischiosi per diminuire la volatilità e rientrare nei parametri di profilatura. Demenza pura.
Demenza pura anche di quegli pseudo CF che affermano che i portafogli vadano costruiti appiattendosi alla propensione al rischio dichiarata dal Cliente senza colpo ferire.
Un post del prof. Bertelli per riequilibrare realtà, propensione - tolleranza al rischio e portafogli.
Quella che stiamo vivendo in questi giorni è una delle situazioni peggiori per la nostra mente. Alimenta una delle nostre paure più grandi: morire di un virus (o di un veleno) sconosciuto, una malattia inguaribile che si diffonde “come la peste”. La crescita esponenziale dei contagiati crea una situazione di disagio profonda, alimentata dai “numeri in tempo reale” che vengono diffusi. Una crescita che sembra non aver mai fine, al termine della quale – non c’è scampo – moriremo tutti!
Al primo colpo di tosse ecco che il pensiero corre verso scenari devastanti.
“Nell’arco di due settimane – ricorda Hans Rosling nel suo libro Factfulness – 31 persone erano morte di influenza suina e una ricerca su Google produsse 253.442 articoli sull’argomento, cioè 8.166 a decesso”. Se questa proporzione venisse rispettata oggi, Google produrrebbe oltre 26 milioni di articoli sui decessi da Coronavirus.
WYSIATI (quello che vedi è tutto quello che c’è) dice Kahneman.
E che cosa vediamo oggi?
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Il grafico rappresenta l’andamento del numero di casi di coronavirus e quello del numero di guariti (fonte dati Johns Hopkins CSSE): 94.261 casi, 51.039 guariti. Gli altri sono tutti deceduti? Ma no, naturalmente. Si tratta di 3.214 casi sfortunati, purtroppo. Ci sono, però, oltre 15 guariti per ogni decesso e (naturalmente) questo numero è destinato a crescere. Oggi – secondo questi dati – il 54% degli ammalati è (già) guarito e il tasso di mortalità è del 3,4%. Non è basso. Ma la paura di morire distorce questi numeri in modo terrificante. Kahneman insegna la differenza che c’è tra la probabilità effettiva e la probabilità percepita e quindi “decisionale”: il 95% di probabilità di prendere il virus e non morire viene percepito come un 79%. Il 5% di morire viene percepito come il 13%! Kahneman insegna che pagheremmo qualunque cifra per passare dal 95% di probabilità di non morire al 100% di probabilità di non morire. Ma come si fa a non morire di coronavirus? Non devo prenderlo, la risposta. Quindi, ogni volta che vedo il numero di nuovi contagi sono terrorizzato, non c’è nella da fare.
Bisognerebbe ricordare questi numeri “cognitivi” ogni volta che comunichiamo i dati. I dati non sono quelli che diciamo (belli o brutti che siano), sono quelli che vengono percepiti. WYSIATI!
Che cosa guardano dunque i mercati? Il grafico non lascia dubbio: il MSCI world scende in corrispondenza dell’accelerazione dei casi mondiali, trascurando tutti gli altri numeri. Ogni nuovo contagio è un morto in più, anche se non è vero, naturalmente. E finché muoiono in Cina, vabbè. Ma quando la gente muore in Europa allora è proprio grave. Potrebbe toccare anche a me (mentre lo dico sento la paura e non sto scherzando).
Guardiamo tutti nella stessa direzione, dunque? Certo, siamo tutti donne e uomini dotati di emozioni.
Tuttavia, un gestore di portafoglio e un consulente hanno un vantaggio rispetto all’investitore individuale: non sono medici o esperti di virus influenzali e hanno paura come tutti. Ma sono – però – esperti di virus finanziari. E allora non confondono (o non dovrebbero confondere) la paura della pandemia con la paura di perdere soldi. Entrambe sono paure sbagliate, ma la seconda gestore e consulente la possono vincere.
Gestore e consulente sanno come andrà a finire sui mercati: “quando i mercati salgono sono tranquillo, quando scendono sono felice!”. Il gestore cerca le opportunità che in momenti come questo si dischiudono, grazie agli eccessi di reazione; il consulente fornisce all’investitore un messaggio semplice: i protocolli medici per il virus influenzale vanno seguiti scrupolosamente. I protocolli finanziari per i virus sui mercati vanno seguiti altrettanto scrupolosamente. Sono ben noti e largamente sperimentati (anche di recente). Funzionano.
Quando i mercati scendono tutti ci sorprendiamo. Come dice Taleb, esiste un prima ed un dopo. Dopo è tutto chiaro e il rischio non si percepisce più (crisi 2000, 2008, 2018). Siamo bravissimi a spiegare i perché del passato. Ma ogni volta che i mercati scendono con violenza è tutto nuovo, è diverso, si è rotto qualcosa … “questa volta” saremo capaci di uscirne? Sono solo le nostre paure.
Il mercato azionario “oscilla, tentenna, traballa … mentre sale nel tempo”. E questo è talmente normale da essere quasi banale. Ci si prepara ai “tonfi di borsa” prima che questi avvengano, definendo una precisa strategia comportamentale, che non accetta eccezioni. La musica che deve sentire l’investitore nelle parole di un consulente deve essere diversa da quella delle televisioni, delle radio, di internet. Il Consulente deve nettamente distinguersi. Sereno, sorridente, sicuro. “Perché sei felice?” – chiede il cliente. “Perché vedo le opportunità che ci sono per te. È questo il mio mestiere”, risponde il consulente.
Il Consulente Finanziario, il Gestore sanno che disinvestendo nei momenti di maggior crisi, si rischia di perdere occasioni di recupero.
Ma occorre uno sforzo maggiore. Bisogna spiegare all'investitore che disinvestendo non si rischia di perdere opportunità. È certo che le perdiamo. A me piace ricordare che “un portafoglio ben diversificato ha minusvalenze che vengono sempre recuperate”.
Allora è meglio restare fermi aspettando che avvenga il recupero?
No. È meglio muoversi. Chiedere a noi stessi quelli che a me piace chiamare “i comportamenti performanti”. Fare il contrario di quanto suggerito dalle nostre paure. Dunque, muoversi. Comprare progressivamente, svuotare quelle disponibilità in conto che sono eccessive. E investire.
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